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E la scrittura?
Click.
Sempre lì che gioca a nascondersi, a voler restare solo un appunto buttato con gli altri in quella piccola valigia rossa che mi trasloco da decenni e che sono pure riuscito a non perdere mai.
Click.
Piccole Polaroid sbiadite che tradiscono inevitabili anacronismi estetici, spiriti cangianti, bruttezze e verità. Proprio come una scatola di vecchie fotografie. Mi piace talvolta riaprirla per osservare quel panorama intorno a me. Istantanee dell’essenza e bozzetti pasticciati che cercano di tracciare i desideri. Urgenti. Liberatori.
Ho sempre detestato la maniera. Contraddice i termini, proprio come il paradosso del ritocco di una Polaroid. La tensione si volge sempre al primo scatto. Prendere o lasciare. Per questo quella valigetta resterà sempre piena di fogli acquattati nella penombra. Lì per insegnarmi a regolare meglio la macchina e ad amare comunque la mia memoria.
Click.
Qualche volta poi scende la magia. Luci ed ombre si fondono perfettamente che nemmeno sai perché. E ti viene voglia, in quel ricordo, di portarci qualcuno.
Così, quel ricordo, inizia a respirare.
Un viaggio cronistico tra i vicoli psicopandemici, alla scoperta degli stessi identici metodi di plagio collettivo ed al loro incredibile e forse inspiegabile, inesorabile successo. La storia di quelli che fanno sempre il tifo per la narrazione del potere, qualunque sia, senza mai porsi il minimo dubbio. La storia di quelli che, di fatto, sono il potere.